Anche quest’estate la magnifica cornice del Palazzo Farnese piacentino ospita la messa in scena di un’opera lirica: se l’anno scorso è stato il turno di “Tosca”, quest’anno l’Associazione “Amici della Lirica” ha scelto “La traviata”, il più popolare titolo verdiano.
La Traviata, musicata da Giuseppe Verdi col libretto di Francesco Maria Piave, andata in scena ieri sera nel suggestivo cortile di Palazzo Farnese a Piacenza, ha riscosso un notevole successo artistico e di pubblico. Un meritato riconoscimento agli sforzi organizzativi degli Amici della Lirica, con a capo Giuliana Biagiotti, che si avvale di collaboratori preparati e di grande impegno. Davvero una bella serata di ottima lirica, degna della tradizione piacentina e presentata dalla elegante Silvia Casagrande.
Renata Campanella ripropone con successo la sua collaudata Cio Cio-San. Il personaggio le sta a pennello grazie alla tecnica salda e al colore drammatico della voce. Un'ovazione per lei, alla fine dello spettacolo. Debutta felicemente nel ruolo di F.B. Pinkerton il tenore ventinovenne Giuseppe Infantino. Il timbro morbido e ricco di armonici, il volume vocale importante, la sicurezza scenica, il sorriso seducente rendono convincente e a tratti perfino accattivante il controverso ruolo. Particolarmente solida e protettiva la figura di Suzuki delineata dal colore scuro e intenso della voce di Anna Malavasi.
Ad avere in mano il timone dell’orchestra è stato, per l’occasione, il direttore Matteo Parmeggiani... Il direttore ha guidato l’orchestra con sicurezza e grande maestria. Nonostante la vicinanza con il pubblico dell’orchestra, la compagine era sistemata al livello della platea, il suono risultava chiaro e non predominava sulle voci.
Matteo Parmeggiani, al debutto in un'opera di Verdi, pone, a dire il vero, ogni cura nel far andare a braccetto impeto drammatico ed equilibri sonori. Anche per questo, l'impegno dell'Orchestra Senzaspine, sempre più affinata e affidabile, al Duse speriamo che stimoli qualche miglioria acustica. Parmeggiani non fa piazza pulita della tradizione, ma fa sempre riferimento al dettato verdiano e, così, si sente per esempio un bel “Ah, no, è follia...” cantato piano, “un vindice avrai” senza acuto e portamento, ma così come è scritto. Gliene siamo grati, non era scontato.
apprezzabile anche il Colline di Yuri Guerra, mai secondario durante la recita e commovente nell’abbandona della vecchia zimarra, cantato con trasporto e bella voce; il resto del folto cast completava con onore la bella rappresentazione.
<<Bravissimo il direttore, Marco Alibrando, talento sicuro e infatti già in crescita a livello internazionale, che con poche prove e in una situazione logistica, diciamo così, complicata, riesce non solo a mandare tutti insieme ma anche a garantire un tasso elevato di puccinismo vero, cioè non sbrodoloso né sentimentale.>>
Ciulla, da parte sua, sa far fronte all'indisposizione senza che la necessaria cautela penalizzi la definizione del suo Marcello. Yuri Guerra è un Colline di spigliata presenza scenica e belle intenzioni musicali, la cui realizzazione potrà senz'altro affinare contando su un mezzo di bel colore.
Fare teatro e melodramma è sempre, per Di Florio, un atto politico, e nella storia universale di Aida risuonano mille altre vicissitudini di popoli migranti, di invasori, di oppressori e oppressi.
Le si affianca il Renato De Grieux di Leonardo Caimi con il quale formano sul palco una coppia decisamente appagante. Il tenore può contare su una notevole prestanza fisica, un timbro virile e scuro, quasi baritonale, una voce grande capace sempre di superare l’orchestrazione e una salita all’acuto potente e luminosa. La prestazione del tenore cresce di atto in atto tra il calore e il consenso del pubblico. Da vita ad un cavaliere bello, aitante, e credibile sin dal primo incontro quando spinto letteralmente dall’amico Edmondo si fa avanti verso Manon a regalarle un fiore. Appassionato nell’impeto amoroso del primo atto. Coraggioso e impavido amante che tenta di liberare la sua donna, pistola alla mano, nel terzo atto. Uomo disperato che assiste impotente alla morte della donna amata nel commovente e tragico finale. Le tende rosse del sipario si chiudono sull’ultimo abbraccio di De Grieux al corpo steso ed esanime della donna che ama. Persa, irrimediabilmente e per sempre. Il suo pianto disperato viene sovrastato dagli applausi. Accanto ai due interpreti principali un lavoro corale dove tutti hanno avuto modo di brillare di luce propria. Loredana Atzei - I Teatri dell’Est